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venerdì 25 marzo 2022

Leonardo. IC. S. Salacone

 La Divina Tragedia

di Leonardo


Incidente, svenni. Mi risvegliai dolorante, fu allora che lo vidi, era piegato a capo chino sul mio corpo. Bastò quell’attimo per cambiare radicalmente la mia vita.

Una figura di media statura vestita con una tunica rossa ed una corona di alloro. Non lo riconobbi subito. Mi disse con voce solenne ed un sorriso stampato sulle labbra: “Ben giunto nella Selva Oscura, dimora di terribili mostri, paurose creature e me”. Mi guardai intorno ed effettivamente ero in una fitta foresta, i rami che si piegavano verso di me sembravano mani che tentavano di cogliere qualcosa troppo lontano dalla loro portata ed i tronchi, robuste fondamenta, reggevano la forte fusione di migliaia di diverse chiome che come un immenso manto coprivano qualunque cosa passasse sotto di esse.

Guardò il cielo e disse: “E’ quasi l’imbrunire, mettiamoci in cammino”. Io ancora spaesato lo seguii, non so il perché, forse non sapevo dove andare o forse lo reputavo simpatico, ma fatto sta che non me ne pentii. 

Per quasi metà del tragitto regnò il silenzio, mi frullavano in testa una miriade di domande da rivolgergli, ma non sapevo come sciogliere il ghiaccio, allora presi coraggio e dissi tutto d’un fiato: “Io non ho ancora capito chi sei”. Lui mi squadrò dalla testa ai piedi ed assunse un atteggiamento serio, per qualche istante temetti di averlo offeso, poi con un sorriso che andava da una guancia all’altra disse: “Non mi hai riconosciuto? Sono Dante, Dante Alighieri!!”. Mi sentii così stupido, come avevo fatto a non accorgermene?

Mi portò verso una città, non particolarmente grande né particolarmente piccola. Era circondata da mura rovinate, di un colore tendente all’arancione, sembrava fosse stata abbandonata molti anni prima.

Entrati nella città, mi ritrovai dinnanzi ad uno spettacolo stupefacente: un ulteriore immenso girone di mura circondava quattro torri coperte da una patina dorata che, come uno specchio, riflettendo la luce della luna, tingevano il cielo notturno di giallo.

Appena superammo la seconda cerchia di mura, Dante si fermò ed iniziò ad urlare parole non comprensibili. Inizialmente pensai che fosse impazzito, ma qualcosa mi diceva che sapeva ciò che faceva. Appena finì di formulare quelle bizzarre parole, un forte terremoto scosse il terreno aprendo un varco grande come due tir che scendeva fino alle viscere della terra, ci caddi dentro. 

O il foro era troppo profondo o io cadevo troppo lento. Solo dopo ben 10 minuti di caduta libera, guardando in basso riuscii a vedere il fondo, sentivo che la fine era vicina, la morte mi stava con il fiato sul collo ed aspettava solamente quel momento per venire a farmi visita e portarmi via nel suo gelido abbraccio.

Giunto alla fine della caduta mi ritrovai seduto in terra miracolosamente senza un graffio, non c’era la morte ad aspettarmi, bensì circa duemila uomini e donne ognuno diverso dall’altro che gridavano in quante più possibili lingue diverse, erano tutti nudi e giravano attorno ad un’insegna che puntava in diverse direzioni. E fu allora che capii, ero finito all’Inferno!! Quel terribile posto mi era stato già descritto dalla mia professoressa di lettere in prima media ma, ovviamente non ne ricordavo quasi niente. Non riuscii a capire perché urlassero, mi accorsi che una miriade di insetti li pungeva incessantemente, ai loro piedi giacevano una moltitudine di vermi che raccoglievano il loro sangue. Il sol pensiero mi stancò, non mi era mai piaciuto fare attività fisica. Decisi di incamminarmi.

Proseguendo, mi ritrovai dinnanzi ad un fiume, a prima vista sembrava quasi normale, a parte la violenza con cui le onde si scagliavano sulla costa; ero stanco ed assetato, decisi di abbeverarmi, un’onda mi travolse lasciandomi zuppo. Uscii dall’acqua e guardai verso l’orizzonte, c’era una scialuppa sulla quale un vecchio barbuto remava verso di me! Mi accorsi di non essere solo e mi ritrovai circondato da una grande quantità di uomini e donne diverse. Guardai verso la barca che si faceva sempre più vicina, provai a fissare negli occhi l’anziano signore e vidi il Demonio, la mia vista si appannò e il mio respiro si fece affannoso, svenni.

Quando mi risvegliai, ero davanti ad uno strano uomo somigliante ad un eroe greco, appena lo vidi gli corsi incontro urlando “Ulisse!!!” e solo quando mi trovai ad un passo da lui me ne accorsi: non era Ulisse, mi urlò con tono oltraggiato “non ti permetto di chiamarmi con quel nome, lui ha abbandonato la sua famiglia, io non l’avrei mai fatto!” era il Conte Ugolino, che tradì la sua patria schierandosi contro Pisa. Solo dopo quella non bellissima figura, mi accorsi che stava mangiando il cranio di un suo compagno di pena e mi successe un’altra volta, prima la vista, poi il respiro ed infine svenni. 

Quando rinvenni non mi trovavo più nell’Inferno o sulla riva di un fiume, ma in un lettino d’ospedale, circondato da parte della mia numerosa famiglia e qualche amico; impiegai qualche minuto per realizzare che niente di ciò che avevo visto era reale, né il fiume, né Dante , né qualunque cosa avessi visto.

Solo ore e ore dopo i dottori mi dissero che ero entrato in coma dopo un incidente d’auto. Guardai un’ultima volta il mio lettino dove fino a poche ore prima giaceva inerte il mio corpo,  la sedia dove mamma aveva sperato fino all’ultimo secondo di non perdermi, quella camera ospedaliera con cui ho condiviso emozioni, paure, e soprattutto svenimenti. 

Prima di andarmene, un medico mi disse: “Hai una bellissima famiglia, ragazzo! E come disse Marylin Monroe -Ricordati di chi c'era quando stavi male, perché saranno quelli che vorrai accanto quando tutto andrà bene-” ed ambedue scoppiammo in una fragorosa risata, mi caricai lo zaino sulla spalla e mi incamminai verso la mia vita, anche se da quel giorno non mi avvicinai più ad un fiume, un bosco, né presi più la macchina.


Morgana. IC S. Salacone

 Il futuro visto da Dante

di Morgana


Le foglie del bosco addormentato scricchiolavano sotto il peso del mio corpo.

Sentivo il respiro di Virgilio, freddo, ma percepivo la sua ombra come una calda e accogliente ala protettrice, come un   padre, dolce e severo al tempo stesso. Non sapevo quale fosse la nostra destinazione, ma mi rassicurava la sua sola presenza. Camminava davanti a me con un’andatura lenta, silenziosa, immortale.

Era passata la mezzanotte da tempo, la nebbia era fitta, tanto che sembrava camminassimo sulle nuvole; nel bosco gli unici suoni erano i grilli e i nostri passi, l’unica luce erano le lucciole che ci indicavano la strada come lanterne.

L’aria gelida, mi tagliava il volto e dalla mia gola non usciva un suono, come se delle mani create dal silenzio, mi tappassero la bocca.

D’un tratto cominciammo ad intravedere la fine di quell’interminabile sentiero che, fino a poco prima, sembrava impossibile da raggiungere.

La nebbia lasciò lentamente spazio ad un’enorme porta scura, come le tende al teatro che lasciano spazio ad una nuova parte della storia.

La voce roca di Virgilio mi fece sobbalzare, quasi quanto le sue parole: “Attraversandomi si va alla città dolorante, attraversandomi si va nell’eterno dolore, attraversandomi si va tra le anime dei dannati. Dio fu mosso dalla giustizia, il padre, il figlio e lo spirito santo mi crearono. Prima della mia creazione, esistevano solamente cose eterne, e io duro eternamente.” Stava leggendo un cartello dello stesso colore dell’enorme porta e che si confondeva tra le sue assi. L’ultima frase mi fece tremare il sangue: “Lasciate ogni speranza, voi che entrate”.

Guardai Virgilio come un bambino spaventato dal buio, aspettando parole confortanti. Lui percepì le mie paure meglio di me stesso e mi rispose calmo: “Qui conviene abbandonare ogni timore, siamo arrivati nel luogo di cui ti avevo parlato, in cui vedrai gente soffrire, gli spiriti dannati che hanno perso Dio”. Deglutii e aprii cautamente la porta, chiusi gli occhi, non sapevo se fossi riuscito a riaprirli una volta dentro. Virgilio mi spostò le mani dal volto. Ed io vidi, sentii.

L’aria era pesante, sentivo un odore dolciastro entrare nelle narici, vedevo donne, uomini, esseri umani trattati come animali, udivo urla, lamenti, sospiri, pianti, grida in lingue molto diverse tra loro. 

La porta enorme da cui eravamo entrati era scomparsa e ci trovammo al centro di un’enorme caverna che non aveva soffitto, ciò nonostante il cielo non si vedeva. 

I miei occhi guardarono, videro uomini trascinati da venti, senza sosta; videro gente affogare nel fango putrido; videro donne trascinare massi grossi come montagne; videro gente bruciata viva da piogge di fuoco, i miei occhi soffrirono e sperarono di diventare ciechi tanto era l’orrore di quella vista.

Camminavo muto, ma in fondo non c’era bisogno che pronunciassi nessuna parola, sarebbe stata inutile. Guardavo, non facevo molta attenzione a dove mettevo i piedi, in fondo perché avrei dovuto? Inciampai, caddi così forte che mi sentii svenire e come nei film mi sembrò che la vita mi passasse davanti. 

Mai potrò dimenticare quello che mi successe quel giorno, come una cicatrice mi lasciò un segno indelebile per tutta la vita. Non mi fermai a quel momento, ma vidi anche le cose che sarebbero potute succedere in futuro. Vidi il futuro anche dopo la mia morte, vidi i cambiamenti, le rivoluzioni, le guerre, le innovazioni, per certi versi belle, per altri brutte, vidi che nel futuro si sarebbero create le “discriminazioni”, una parola nuova per me. Vidi che nel futuro la gente si sarebbe spinta oltre la terra, sarebbe arrivata sulla luna e poi anche oltre. Poi però vidi che avremmo abbandonato il nostro pianeta, lo avremmo distrutto, e utilizzato tutti i materiali possibili per andare alla ricerca di un pianeta nuovo, ma senza possibilità di vita. Vidi che la terra non avrebbe avuto nemmeno il bisogno di distruggerci, perché ci saremmo annientati da soli, per le nostre diversità.

Vidi che nel futuro il denaro sarebbe diventato più importante delle vite umane e che a nessuno sarebbe importato della morte di bambini, che in fondo sarebbero stati gli unici senza alcuna colpa, perché nati troppo tardi per vivere bene e troppo tardi per fare qualcosa. Io vidi il futuro: pensavo fosse una cosa da ammirare e da ringraziare, ma mi sbagliavo. 

Mi svegliai, Virgilio mi chiamò ed io lo seguii, ma quell’episodio perseguitò la mia mente per tutto il resto della vita, avrei voluto fare qualcosa per il futuro, ma come? In un primo momento pensavo di dover, una volta tornato nel mio mondo, provare a cambiare le cose, pensai che non era giusto lasciare un mondo in frantumi ai nostri discendenti. Anche al costo della mia stessa vita avrei dovuto aiutarli.

Mi resi conto che forse non avrei potuto fare nulla, mi avrebbero creduto? Mi diedi la risposta da solo: “No, penserebbero che io sia pazzo.”

Seguendo il filo della mia mente, via via più affusolato e complicato, raggiunsi la conclusione che non avrei potuto fare assolutamente nulla. Avrei continuato la mia esistenza senza riuscire a fare nulla per il futuro dopo la mia morte. 

Non sapevo che nel futuro la gente, consapevole di una catastrofe, avrebbe potuto far finta di niente; non sapevo che avrebbe potuto generare guerre mondiali per sterminare un altro popolo solo per caratteristiche fisiche o per culture diverse. Ma lo scoprii.

Mai avrei immaginato che nel futuro ci si potesse scordare dell’umanità, degli esseri umani e trattarli come animali in cattività. Mai.

Perché nessuno riesce a cambiare qualcosa? Perché tutti coloro che possono cambiare le sorti del mondo diventano come loro, loro che se ne fregano delle morti in mare, loro che non pensano ai ragazzi, alle ragazze, ai bambini e alle bambine che verranno al mondo dopo di loro.  Capii che se non avessero fatto in tempo sarebbe diventata una vera e propria “autoestinzione”.

Molti scoprirono e lasciarono andare il mondo, anche in un momento in cui si sarebbe potuto fare qualcosa, come se fossero un granello di sabbia in un oceano. Non capirono mai che il mondo era più piccolo di quanto pensavano, e che ogni nostra scelta e azione ha conseguenze sul nostro futuro. NOSTRO futuro.


Marco. IC Via Anagni

Dante e Virgilio contro Caronte 

di Marco

Una volta giunti davanti al fiume Acheronte, Dante e Virgilio si fermarono un attimo per  aspettare che Caronte li traghettasse.  

“Virgilio, ti senti pure tu osservato?” 

“Certo, è normale, siamo vicini al fiume Acheronte, qui accanto a noi ci sono tutte le anime  che aspettano di essere traghettate.” 

“Ma io sento anche una presenza spiritica, sento che si sta avvicinando sempre di più,  adesso ancora di più e...”  

Dante si girò appena in tempo per parare un fendente alle spalle di Virgilio con il suo  spadone d’alloro. Era uno spadone a due mani arrugginito, la spada era quasi spezzata a  metà ma era risultato impossibile romperla; la parte di spada che la teneva ancora tutta  unita era di quasi due centimetri e tutto lo spadone era ricoperto con foglie d’alloro. Dante  lo portava sempre con sé, lo teneva dentro al suo fodero da schiena che era ricamato con  squame di drago e decorato con decorazioni di foglie d’alloro. 

“Grazie, Dante, anche se io sono già uno spirito e non posso essere ucciso o ferito; ma  comunque sono curioso di vedere chi cercava di colpirmi, quindi combatterò pure io!” 

Dette queste parole, Virgilio tirò furi dalla sua fodera vuota una spada; era una spada  fantasma, cioè una spada che non poteva fare male agli umani ma soltanto ai demoni e alle  altre creature fatate. Era di un bianco sporco e aveva delle sfumature di ciano chiaro,  emanava delle particelle che a contatto con le creature fatate e i demoni creavano un veleno  che li faceva svenire. 

Appena Virgilio fece sibilare la spada estraendola dalla fodera, la stessa creatura che lo  aveva attaccato prima gli passò vicino. Dante non lo poté vedere perché era troppo veloce  ma Virgilio lo vide: era Caronte.  

A Virgilio sembrò di vedere che Caronte avesse un remo in mano. Si guardarono. Virgilio  vide che Caronte non aveva gli occhi spenti come al solito ma illuminati da una luce celeste;  era normale, Caronte faceva sempre così quando era arrabbiato, ma Virgilio intravide anche  che, per una frazione di secondo, i suoi occhi erano diventati rosso sangue e tutto il suo  corpo invece di essere ricoperto da un telo nero rattoppato lungo i bordi, era strappato e  pieno di sangue. 

Dopo quella apparizione spaventosa Caronte sparì e Virgilio restò immobile e, dopo pochi  secondi, cadde a terra; la parte della sua tunica della spalla destra si spezzò e uscì del sangue.  Caronte aveva ferito Virgilio.  

“Come ha fatto Caronte a ferirmi? Sono uno spirito! Ma forse...? Dante ascolta, mettiti al  riparo, Caronte è corrotto!”  

“Cosa?”

“Vuol dire che qualcuno ha rubato la sua volontà; per fare questo incantesimo devi essere  uno spirito di alto rango o un demone molto importante. Quando avviene, le forze di chi  comanda e di chi è posseduto si uniscono e quindi la forza è triplicata e il posseduto diventa  potentissimo.” 

Dante si buttò dietro ad una pietra appena in tempo per difendersi da un’onda d’urto  provocata da uno dei fendenti di Caronte. 

Virgilio scomparve dal punto dov’era caduto e ricomparve dietro a Dante; Virgilio scostò  subito Dante e si mise al suo posto, poi, in una frazione di secondo, si girò a pancia all’aria  e si mise la spada davanti alla testa. 

Virgilio rimase immobile, sembrava che si stesse sforzando, ma sopra di lui non c’era  nessuno, quindi Dante si sforzò per vedere cosa lo teneva immobile. Ad un certo punto lo  vide: era Caronte con un remo in mano che usava come spada, Virgilio era a terra immobile  perché stava parando un suo colpo. 

Caronte aveva un cappuccio che non faceva vedere bene la sua faccia, ma nell’ombra si  potevano vedere due luci celesti che erano i suoi occhi, il telo che lo copriva era nero e un  po' bagnato. Era così veloce che il suo vestito prendeva fuoco, ma solo per poco perché  quello veniva subito spento da una macchia di acqua che poi spariva. Le sue mani erano  scheletriche e bianche; Dante provò a vedere cosa c’era sotto al telo ma non vide niente,  anzi quello che vide era il niente: era come se ci fossero solo le sue mani e i suoi piedi ma  niente corpo. 

“Dante non farti distrarre dai suoi trucchetti di magia. Lui ti fa vedere solo quello che vuole,  pensa a scappare invece!”  

“Ah, vedo che anche lui riesce a vedermi, davvero impressionante. Per un umano è quasi  impossibile vedere uno di noi tredici demoni. Però anche se sarà bravo a vedere i demoni,  non sarà bravo allo stesso modo a sconfiggerci!” 

Caronte aveva una voce fredda, però il suo tono era sempre divertito come se si credesse  invincibile. Allora Dante per dimostrargli che non era così si buttò su di lui gridando  "Invece sì, vi sconfiggerò uno per uno e comincerò da te!” 

Proprio quando Caronte stava ad un centimetro di distanza dalla lama di Dante si  teletrasportò subito da un’altra parte, quindi Dante perse l’equilibrio e cadde. Caronte  riapparve subito dietro a Dante che si girò e si ributtò sopra Caronte ma successe la stessa  cosa: Caronte scomparve, riapparì dietro a Dante e scomparve ancora quando stava per  essere colpito. Dante continuò a cercare di colpire Caronte, ma dopo la quindicesima volta  ci rinunciò, fermandosi un attimo per la stanchezza. Proprio in quel momento Caronte  attaccò Dante, ma lui per fortuna lo vide giusto in tempo per schivare il suo colpo, non del  tutto però, perché Caronte riuscì a colpirlo di striscio sull’anca. Caronte quindi si diede la  spinta su una roccia per riattaccare Dante ma, per fortuna, Virgilio spuntò dall’alto  colpendo Caronte e perforandogli la pancia; i margini del buco sembravano inceneriti ma  dalla sua pancia non usciva sangue.  

Dopo pochi secondi però il buco si rimarginò. “Com’è possibile, ho usato il 45 per cento  del mio potere e lui non si è ancora ferito?!?”

“Ancora non l’hai capito, Virgilio? Io non sono corrotto, e non sto usando neanche tutto  il mio potere. Noi tredici demoni abbiamo un compito qui nell’Inferno, quello di fare in  modo che le anime non si ribellino, ma ultimamente si sta scatenando il caos, quindi non  possiamo né far entrare, e né far uscire le anime. Quindi oggi non puoi entrare Virgilio.  Quanto a te, umano, tu non puoi entrare nell’Inferno per legge, quindi sono obbligato a  mandarti fuori. E poi come credi di sconfiggermi? Non sai che solo i demoni possono  uccidere i demoni?” 

“Ma allora perché scomparivi ogni volta che ti attaccavo? Tanto non ti avrei fatto male  anche infilzandoti.”  

“Sbagliato, prima che Virgilio mi interrompesse io ti stavo per uccidere ma essendo uno  spirito non posso colpirti, quindi mi stavo caricando per diventare per poco tempo un  umano. Però per questa trasformazione si deve usare molta energia e poi riposare per  ricaricare i poteri, quindi questo discorso mi è servito a ricaricare le energie. Se mi aveste  colpito mentre stavo parlando avreste potuto uccidermi ma non l’avete fatto, quindi... buon  per me.”  

Quando Caronte ebbe finito di parlare, lui e Virgilio rimasero immobili e si guardarono;  dopo pochi secondi a Dante sembrò di non vederli più, in realtà loro si erano mossi ad una  velocità così grande che lui vide solo la fine di quello che era realmente accaduto. 

Caronte e Virgilio saltarono in aria allo stesso tempo. Per confondere Virgilio, Caronte creò  della nebbia nera ma lui riuscì comunque a vederlo e a tirargli un colpo. Si sentì un “tin”

Virgilio aveva colpito Caronte, ma con un attacco particolare: lo aveva fatto svenire.  Caronte fece un sogno strano: il capo dei demoni, Lucifero, gli ordinava di non attaccare  più Dante e Virgilio. Così facendo Virgilio e Dante erano al sicuro perché tutti dovevano  rispettare gli ordini di Lucifero. Chi non lo avesse fatto sarebbe stato mangiato.  

Virgilio lo aveva risparmiato perché erano amici sin da quando lui era morto. Virgilio stava  per prendere la barca di Caronte per andare sull’altra sponda con Dante, quando Caronte  sparì; Virgilio aveva notato che poco prima di sparire i suoi occhi si erano aperti e la luce  da celeste era diventata rossa, questo lo fece di nuovo rabbrividire. 

Era appena finita una battaglia, ma appena incominciata una guerra.


Alice. IC A. Manzi

 La vita è una divina tragedia


di Alice


Ogni giorno mi sembra di vivere come se fossi in una serie in cui la protagonista è una ragazza goffa e sfaticata, che fatica a tenere il passo con gli altri. Studiando Dante ho capito che la Divina Commedia Dante, scritta ispirandosi alla vita di tutti i giorni, è anch’essa suddivisa in Inferno, Purgatorio e Paradiso. Per un qualsiasi studente l’Inferno non può essere nient’altro che la scuola, quel luogo in cui ci mandano “per il nostro bene”, ma è come quando da piccola mi dicevano che andavamo al parco e invece andavamo dal dottore. Questo luogo infernale è suddiviso in due gironi, quello elementari e quello delle medie, rispettivamente divisi in cinque e tre fosse. Nella prima fossa del girone elementari troviamo i primini, quei bambini fastidiosi che si credono tanto grandi perché non sono più alla materna e guardano tutti dall’alto in basso; la loro pena è essere costretti ad imparare a scrivere in stampatello nonostante verranno in seguito obbligati a scrivere in corsivo. Nella seconda fossa troviamo i superbi che sono la versione peggiore dei primini: come loro infatti si credono tanto grandi quando sono alti un metro e un succo di frutta ma a differenza dei primini i superbi lo fanno con classe. La punizione di questi esseri altezzosi è di esser costretti ad abbandonare la penna cancellabile e cominciare ad usare la penna normale. Nella terza fossa si trovano gli indifferenti: a loro non interessa niente di nessuno e pensano solo a loro, cosa che da una parte li rende maggiormente apprezzabili rispetto agli altri due: la pena di questi individui è di sorbirsi le sgridate delle maestre perché non sono più piccoli ormai. Nella penultima fossa troviamo i maliziosi: pieni di sé e con una lingua lunga quanto un serpente che attacca chiunque gli venga tra le mani. La punizione di questi piccoli pettegoli è quella di sentire tutti dirgli che l’anno prossimo avranno la prova invalsi. Nell’ultima fossa del girone elementari troviamo i violenti: essi sono umani di appena undici anni e sono pronti a difendere il loro onore da “bambini con l’età a due cifre” con le unghie e i denti. La pena che queste bestiole devono subire è che ogni giorno gli verrà ricordato dell’imminente passaggio dalle elementari alle medie. Solitamente con il passaggio da un girone all’altro c’è una cerimonia chiamata Open Day, in cui ti fanno quasi pensare che la scuola sia un bel posto, ma in realtà hanno promesso agli alunni che hanno partecipato l’annullo dei debiti. Nella prima fossa di questo nuovo girone troviamo i vecchi primini, non troppo diversi dai primini del girone elementari: anch’essi si sentono grandi perché non sono più alle elementari, ma al contrario dei primini un minimo di maturità ce l’hanno. La loro punizione è di dover adattarsi ai nuovi ritmi e alle valanghe di compiti di questo girone. Nella seconda fossa troviamo i vecchi indifferenti e, come a quelli della terza fossa del girone elementari, a loro non importa niente di nessuno anche se, essendo nel mezzo, sanno tutto di tutti. La loro pena è sentire ogni giorno che agli esami manca solo un anno. Infine nell’ultima fossa troviamo i supremi: essi sono i più grandi della scuola, rispettati e temuti da tutti per la loro punizione. Ma alla fine l’unico potere che hanno è quello di poter guardare tutti dall’alto in basso, poiché sono gli unici abbastanza alti da farlo con tutti. A capo di tutto ciò c’è la preside con le sue fedelissime consigliere, le insegnanti. Esse sono aiutate dai bidelli, meglio conosciuti come collaboratori scolastici, che pattugliano i corridoi in cerca di dannati che cercano di sfuggire alla loro pena. Una volta terminati questi due gironi c’è anche quello liceale, che non starò a descrivere perché non ho ancora avuto la sfortuna di sperimentare. Subito dopo questo si apre il purgatorio, diviso in due strade: la strada del lavoro, che può essere quello che sognavi fin da bambino o uno che hai trovato perché hai bisogno di soldi, e la strada dell’università, che ti permette di andare avanti di dieci livelli e avere più possibilità di trovare il lavoro che desideri. Queste strade si trovano nel purgatorio poiché possono essere entrambe il tuo migliore amico o il tuo peggior nemico, soprattutto se non hai voglia di fare nulla e tua madre ti ha detto che se non fai qualcosa ti caccia di casa. C’è una terza strada, una scorciatoia a dirla tutta, chiamata disoccupazione, e molti la usano solamente per avere il reddito di cittadinanza e poter poltrire sul divano. Dopo tutta questa fatica, un posto dove riposare ci vorrebbe proprio, e mentre penso queste parole uno spiraglio di luce illumina una figura indistinta: aguzzo gli occhi e alla sola vista di quel posto paradisiaco mi rilasso, perché so che finalmente posso rilassarmi. Di cosa sto parlando? La mia casa, ovvio. Naturalmente anche il Paradiso è diviso in fosse, messe in ordine da quella che mi piace di meno alla mia preferita. La fossa numero cinque è il posto comunemente chiamato ripostiglio, in cui c’è l’asciugatrice e scorte di cibo che basterebbero a sfamare un esercito per tre mesi. L’unica pecca di questo posto è il suo essere molto piccolo e buio, e in questo modo non riesco a vedere il cibo. Nella quarta fossa c’è il salone, l’ampio spazio in cui si svolgono la maggior parte dei litigi, e più sono più drama per me. Questa cosa può essere anche uno svantaggio perché se litigo con mia sorella in salone arriva subito mia madre a separarci e il divertimento finisce. Salendo sul podio troviamo al terzo posto la cucina: un posto bellissimo che puoi saccheggiare quando ti pare a meno che non c’è qualcuno a controllarti, il posto in cui si trova ogni tipo di delizia e bevanda e magari trovi anche qualche contenitore vuoto che è stato rimesso a posto per pigrizia. Il lato brutto della cucina è che a volte trovo mia madre intenta a sperimentare nuove ricette, e tutta casa si contamina della puzza dei suoi piatti fuoriclasse. Al secondo posto c’è il bagno: una scelta un po’ strana per molti, ma che ha una spiegazione specifica. Infatti in bagno io non ci vado per lavarmi o fare i miei bisogni, ma per avere un pochino di silenzio e tranquillità mentre ascolto della musica. Va tutto perfettamente fino a quando qualcuno non bussa e mi dice di uscire perché se la stanno facendo sotto. E infine il top del top, la ciliegina sulla torta del paradiso, signori e signore, nella fossa numero uno c’è la camera da letto: l’unico posto in cui nessuno mi può disturbare, in cui posso fare quello che voglio e quando lo voglio, il posto in cui ci sono tutte le mie cose, tutti i miei averi e i miei risparmi. Questo luogo paradisiaco è fornito di ogni tipo di relax ed è l’unica stanza della casa che mi è permesso di personalizzare. Ma ovviamente nemmeno il paradiso è privo di ogni traccia dell’Inferno: davvero il mondo pensa che ci sia un posto privo di ogni male? Persino nella parte più remota del paradiso le forze del male riescono a penetrare: chi sarà mai questo essere crudele? Mia madre, ovvio. Una sottoposta di Satana che si spaccia per umana, venuta per tormentarmi lasciando la porta spalancata quando esce, lamentandosi continuamente che la mia camera è in disordine e entrando nel mio territorio senza bussare. Insomma, Dante non è stato realistico nel descrivere il paradiso, o forse ha volutamente lasciato da parte il suo lato oscuro, per convincere tutti che il Paradiso è privo di ogni male, anche se secondo me è un errore molto grande.


Aurora. IC A. Manzi

 di Aurora


Siamo nel 2256 e i tempi sono cambiati e la tecnologia si è evoluta trasformando l’Inferno che conoscevamo nell’Inferno tecnologico, tutti ormai sono dei robot e fanno quello che vogliono, molto più aggressivi di quanto lo fossero nel 2023. Entrando nell’Inferno attraverso un ascensore di vetro, vedevamo i dannati nei diversi cerchi dell’Inferno. Ormai tutti sanno quale è la storia del conte Ugolino ma…..  mi dispiace per voi ma quello che vi hanno raccontato è una notizia falsa, e oggi ho colto l’occasione per raccontarvi come è andata veramente la vita del conte Ugolino. Era martedì 16 gennaio del 2243, Ugolino era imprigionato con i suoi figli nella torre della Muda molto resistente fatta in oro bianco. Passarono diversi giorni da quando erano rinchiusi là dentro e non c’erano prese per la corrente per poter ricaricare le energie, come tutti i robot che si caricano con la corrente. Finché le guardie portarono via Ugolino dalla Muda e lasciarono i figli nella cella. I figli evasero dalla cella e Ugolino ebbe uno scontro violento con Ruggero, perché si davano a vicenda dei traditori e finirono a tirarsi pe i circuiti. Cari amici miei ora vi siete rinfrescati la memoria? Beh a me dispiace per Ugolino ma almeno i figli si sono salvati.