di Leonardo
Incidente, svenni. Mi risvegliai dolorante, fu allora che lo vidi, era piegato a capo chino sul mio corpo. Bastò quell’attimo per cambiare radicalmente la mia vita.
Una figura di media statura vestita con una tunica rossa ed una corona di alloro. Non lo riconobbi subito. Mi disse con voce solenne ed un sorriso stampato sulle labbra: “Ben giunto nella Selva Oscura, dimora di terribili mostri, paurose creature e me”. Mi guardai intorno ed effettivamente ero in una fitta foresta, i rami che si piegavano verso di me sembravano mani che tentavano di cogliere qualcosa troppo lontano dalla loro portata ed i tronchi, robuste fondamenta, reggevano la forte fusione di migliaia di diverse chiome che come un immenso manto coprivano qualunque cosa passasse sotto di esse.
Guardò il cielo e disse: “E’ quasi l’imbrunire, mettiamoci in cammino”. Io ancora spaesato lo seguii, non so il perché, forse non sapevo dove andare o forse lo reputavo simpatico, ma fatto sta che non me ne pentii.
Per quasi metà del tragitto regnò il silenzio, mi frullavano in testa una miriade di domande da rivolgergli, ma non sapevo come sciogliere il ghiaccio, allora presi coraggio e dissi tutto d’un fiato: “Io non ho ancora capito chi sei”. Lui mi squadrò dalla testa ai piedi ed assunse un atteggiamento serio, per qualche istante temetti di averlo offeso, poi con un sorriso che andava da una guancia all’altra disse: “Non mi hai riconosciuto? Sono Dante, Dante Alighieri!!”. Mi sentii così stupido, come avevo fatto a non accorgermene?
Mi portò verso una città, non particolarmente grande né particolarmente piccola. Era circondata da mura rovinate, di un colore tendente all’arancione, sembrava fosse stata abbandonata molti anni prima.
Entrati nella città, mi ritrovai dinnanzi ad uno spettacolo stupefacente: un ulteriore immenso girone di mura circondava quattro torri coperte da una patina dorata che, come uno specchio, riflettendo la luce della luna, tingevano il cielo notturno di giallo.
Appena superammo la seconda cerchia di mura, Dante si fermò ed iniziò ad urlare parole non comprensibili. Inizialmente pensai che fosse impazzito, ma qualcosa mi diceva che sapeva ciò che faceva. Appena finì di formulare quelle bizzarre parole, un forte terremoto scosse il terreno aprendo un varco grande come due tir che scendeva fino alle viscere della terra, ci caddi dentro.
O il foro era troppo profondo o io cadevo troppo lento. Solo dopo ben 10 minuti di caduta libera, guardando in basso riuscii a vedere il fondo, sentivo che la fine era vicina, la morte mi stava con il fiato sul collo ed aspettava solamente quel momento per venire a farmi visita e portarmi via nel suo gelido abbraccio.
Giunto alla fine della caduta mi ritrovai seduto in terra miracolosamente senza un graffio, non c’era la morte ad aspettarmi, bensì circa duemila uomini e donne ognuno diverso dall’altro che gridavano in quante più possibili lingue diverse, erano tutti nudi e giravano attorno ad un’insegna che puntava in diverse direzioni. E fu allora che capii, ero finito all’Inferno!! Quel terribile posto mi era stato già descritto dalla mia professoressa di lettere in prima media ma, ovviamente non ne ricordavo quasi niente. Non riuscii a capire perché urlassero, mi accorsi che una miriade di insetti li pungeva incessantemente, ai loro piedi giacevano una moltitudine di vermi che raccoglievano il loro sangue. Il sol pensiero mi stancò, non mi era mai piaciuto fare attività fisica. Decisi di incamminarmi.
Proseguendo, mi ritrovai dinnanzi ad un fiume, a prima vista sembrava quasi normale, a parte la violenza con cui le onde si scagliavano sulla costa; ero stanco ed assetato, decisi di abbeverarmi, un’onda mi travolse lasciandomi zuppo. Uscii dall’acqua e guardai verso l’orizzonte, c’era una scialuppa sulla quale un vecchio barbuto remava verso di me! Mi accorsi di non essere solo e mi ritrovai circondato da una grande quantità di uomini e donne diverse. Guardai verso la barca che si faceva sempre più vicina, provai a fissare negli occhi l’anziano signore e vidi il Demonio, la mia vista si appannò e il mio respiro si fece affannoso, svenni.
Quando mi risvegliai, ero davanti ad uno strano uomo somigliante ad un eroe greco, appena lo vidi gli corsi incontro urlando “Ulisse!!!” e solo quando mi trovai ad un passo da lui me ne accorsi: non era Ulisse, mi urlò con tono oltraggiato “non ti permetto di chiamarmi con quel nome, lui ha abbandonato la sua famiglia, io non l’avrei mai fatto!” era il Conte Ugolino, che tradì la sua patria schierandosi contro Pisa. Solo dopo quella non bellissima figura, mi accorsi che stava mangiando il cranio di un suo compagno di pena e mi successe un’altra volta, prima la vista, poi il respiro ed infine svenni.
Quando rinvenni non mi trovavo più nell’Inferno o sulla riva di un fiume, ma in un lettino d’ospedale, circondato da parte della mia numerosa famiglia e qualche amico; impiegai qualche minuto per realizzare che niente di ciò che avevo visto era reale, né il fiume, né Dante , né qualunque cosa avessi visto.
Solo ore e ore dopo i dottori mi dissero che ero entrato in coma dopo un incidente d’auto. Guardai un’ultima volta il mio lettino dove fino a poche ore prima giaceva inerte il mio corpo, la sedia dove mamma aveva sperato fino all’ultimo secondo di non perdermi, quella camera ospedaliera con cui ho condiviso emozioni, paure, e soprattutto svenimenti.
Prima di andarmene, un medico mi disse: “Hai una bellissima famiglia,
ragazzo! E come disse Marylin Monroe -Ricordati di chi c'era quando stavi male,
perché saranno quelli che vorrai accanto quando tutto andrà bene-” ed ambedue
scoppiammo in una fragorosa risata, mi caricai lo zaino sulla spalla e mi
incamminai verso la mia vita, anche se da quel giorno non mi avvicinai più ad
un fiume, un bosco, né presi più la macchina.