LUCREZIA ALIGHIERI
Lucrezia Alighieri, lontana discendente della famiglia del famoso poeta e scrittore Dante Alighieri, sin da giovane era sempre stata molto incuriosita dalla storia del suo antenato. Avrebbe tanto desiderato incontrarlo per ricevere i suoi poteri della scrittura o poter solo fare il viaggio in Paradiso. Quante ore della giornata passava a fantasticare su avvenimenti che avrebbe voluto si avverassero: da quanto si svegliava la mattina, mentre andava a scuola a quando riordinava la camera, non pensava ad altro.
Durante le vacanze di Pasqua, una mattina mentre era salita in soffitta per cercare la vecchia macchina da scrivere del nonno si era imbattuta in una scatola imballata in uno strano modo con su scritto “oggetti di famiglia”. Si avvicinò a quel pacco, a cui non aveva mai dato tanta importanza, per vedere se magari avrebbe potuto trovare lì ciò che cercava. Girava e rigirava centinaia di fogli che la riempivano, fino a che non trovò una lettera destinata a una certa Beatrice. L’aprì e riversò il suo contenuto sul pavimento. Erano due fogli ripiegati l’uno dentro l’altro ed una pietra. Prese il primo, il più vecchio: la carta era molto gialla.
Recitava:
“A Beatrice,
Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente e d’umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova;
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.
Dante Alighieri
Parola dopo parola Lucrezia era sempre più emozionata ed in meno di qualche secondo l’aveva già divorata per il desiderio di vedere come terminava. Naturalmente la lesse più volte per comprenderne il senso: la prima era troppo emozionata per aver trovato una lettera d’epoca, nella seconda si era concentrata sulle rime e le figure retoriche e nell’ultima finalmente sul senso.
Prese il secondo foglio, aveva una carta meno scura del precedente, sembrava che fosse stato scritto più recentemente, infatti era scritto a macchina:
“Lettera del poeta di famiglia, Dante Alighieri, alla sua donna amata, Beatrice.
È stato un piacere per me leggere questo sonetto del mio antenato, ma sono molto rammaricato che non l’abbia mai letta la destinataria. Spero che qualcuno un giorno potrà avere la mia stessa fortuna, quella di leggere questa splendida lettera.
Un saluto.
1900, Pasqua
Giovanni Alighieri
Senza pensarci due volte prese la pietra rossastra tra le mani, la strinse nel palmo e dal quell’istante il parquet di casa non era più sotto i suoi piedi. Al posto c’era una superficie rocciosa spaccata in vari punti. Da queste aperture usciva della lava rosso fuoco che rendeva la temperatura molto alta. Alzò la testa e vide una grande porta. Lesse ad alta voce le parole incise su di essa:
"Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate"
Rifletté pochi istanti. Quella frase l’aveva letta un milione di volte. Quella era la porta che conduceva all’Inferno! Non sapeva se era stata condotta nella città dolente perché aveva commesso un peccato tanto grave da dover essere punita immediatamente o per esaudire il suo desiderio di fare un viaggio negli inferi. Aveva molta paura di dover affrontare un viaggio tanto impegnativo, ma nello stesso tempo non vedeva l’ora di attraversare quella porta.
All’improvviso comparve al suo fianco Dante, la sua guida, con Virgilio. Oltrepassando quella porta e vedendo le anime dei dannati sentì un brivido percorrerle la schiena. Provava pietà per quei peccatori che ora dovevano subire delle punizioni molto pesanti. Superando l’antinferno con gli ignavi ed il primo cerchio, il limbo, erano rapidamente giunti al secondo dove erano puniti i lussuriosi. A quel punto si ricordò dell’incontro che aveva avuto il suo accompagnatore e gli chiese dove fossero Paolo e Francesca, perché aveva un gran desiderio di incontrarli. Immediatamente Dante le indicò due figure che, come descritte nella Divina Commedia, volavano accoppiate. Virgilio, che fino ad allora era rimasto in silenzio, chiamò Francesca per farla avvicinare a loro. Naturalmente non fu necessario raccontare di nuovo la loro storia dopo settecento anni, perché Lucrezia la conosceva benissimo. Vista l’occasione, approfittò per fargli delle domande che si poneva sin dalla prima lettura del poema: come mai ti sei maritata con Gianciotto, il fratello di Paolo? Ritieni che sia stata una fortuna morire e dover scontare la pena accanto all’uomo da te tanto amato, in questo luogo buio e tenebroso?
Tra una lacrima e l’altra Francesca rispose a tutte le domande, mentre Paolo, come al solito, rimase in silenzio. Dovevano proseguire, Lucrezia aveva fretta, voleva conoscere il mitico Ulisse, colui che aveva avuto l’idea del famoso inganno del cavallo di Troia. Così scesero fino all’ottava bolgia dove erano posizionati i consiglieri fraudolenti. Anche per lui aveva delle domande e non tardò nemmeno un istante a porgerle: come le è venuta l’idea del suo famoso inganno? Si sa che è stato davvero difficile il suo viaggio di ritorno a Itaca, ma potrebbe raccontarmi le emozioni che provò?
La reazione di Ulisse non fu purtroppo la stessa di Francesca, perché per lui era davvero troppo complicato ripensare a quel brutto periodo. Aveva passato delle terribili avventure e non era proprio il momento di ripensarci. Così, senza dare alcuna risposta, si ritirò nella sua fiammella con Diomede, l’altro eroe acheo che aveva partecipato all’inganno.
Lucrezia era rimasta visibilmente delusa dal suo comportamento e scelse di proseguire nella direzione in cui si trovava Lucifero. Mentre scendevano, Dante le spiegò come aveva fatto a raggiungere l’Aldilà:
“Probabilmente quella pietra, che era contenuta nella lettera indirizzata a Beatrice, percepisce le tue emozioni. Il viaggio negli inferi si può ripetere solo ogni cento anni dopo la prima volta. Io l’avevo fatto nella Pasqua del trecento, poi Giovanni Alighieri nel novecento e tu ti ritrovi ad intraprenderlo nel duemila”.
Nel frattempo erano sempre più vicini all’angelo che si era ribellato a Dio.
Appena vide arrivare in lontananza il gruppo composto da Dante, Lucrezia e Virgilio, Lucifero andò su tutte le furie perché non era d’accordo con l’arrivo dei visitatori fino a quella profondità. “Mi sono già lamentato con Acheronte, non doveva far entrare nessun estraneo nel mio regno, me la pagherà” pensava “ma prima pensiamo a questi stranieri”.
Non a conoscenza dei suoi pensieri e giunta ormai alla massima profondità, Lucrezia voleva arrivare al Purgatorio per proseguire lì il suo viaggio. Si era avvicinata con le guide a Lucifero per scendere nel passaggio, ma in meno di un attimo il re infernale la afferrò e fece come per mangiarla quando lei scomparve nel nulla. Sembrava si fosse smaterializzata in un secondo.
Lucrezia aveva appena riappoggiato i piedi sul suo parquet di casa e ancora non si rendeva conto dell’avventura che aveva appena vissuto. Si era salvata per un pelo stringendo nuovamente la pietra rossastra tra le mani ed ora era sana e salva nella sua soffitta. Si sentiva davvero felice e fortunata per aver avuto quell’occasione. Ora non le restava che scrivere una lettera, come il suo antenato del millenovecento, a un futuro nipote e riscendere in camera sua con la vecchia macchina da scrivere del nonno che era venuta a cercare.
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